Era un giorno come tanti. Ian era appena uscito di casa; lo
seguii con lo sguardo dalla finestra finchè non scomparve dietro
il chiosco dei giornali, come tutte le mattine. Avrebbe preso il
bus fino alla fermata della metropolitana e poi si sarebbe
recato al lavoro. Finalmente la fortuna ci stava sorridendo.
Avevamo trovato un bell’appartamento e lo avevo arredato a mio
gusto, lo sentivo veramente mio. Non era facile trovare una
bella sistemazione a New York, troppa gente, troppi palazzi
vecchi e fatiscenti, troppo costosi gli affitti.
Ian aveva fatto carriera, da tre giorni la sua occupazione lo
portava un po’ più lontano da casa, ma lo stipendio era
decisamente migliore e lui era felice.
Mi toccai il ventre, il nostro piccolo stava crescendo. E come
ci aveva assicurato il ginecologo, era sano e forte. Ci avrebbe
fatto compagnia per Natale. Guardai l’orologio, Ian a quell’ora
doveva trovarsi già in metropolitana.
Accesi l’aspirapolvere e passai il tappeto del salotto, rividi
la notte precedente. Il cuore sembrava desiderare di essere
notato sotto la maglia tanto si agitava. Eravamo ormai sposati
da quattro anni, ma quando pensavo a lui non potevo evitare di
sognare che fosse lì insieme a me.
Il dottore mi aveva consigliato di non stancarmi troppo. Le
gambe mi diventavano pesanti portando in giro quella creatura.
Ma non mi importava. Lo avevamo voluto così tanto e finalmente
il frutto del nostro amore stava arrivando.
L’orologio segnava le sette e trentacinque. In quel momento Ian
era già giunto al lavoro, avrebbe preso l’ascensore che lo
avrebbe portato fino al novantatreesimo piano. Di lassù avrebbe
disteso il suo sguardo su tutta Manhattan. Mi era piaciuto così
tanto quando lui mi aveva accompagnato, con orgoglio, a vedere
il suo ufficio nuovo.
Finalmente tutto andava per il meglio, dopo anni difficili, un
po’ di serenità era un nostro diritto, ci spettava.
Mentre accendevo la tivù, guardai anche la data. L’11 settembre
2001, un giorno come tanti.