Legata a quel palo sulla catasta di legna gli occhi stanchi
della donna s’inumidirono di lacrime. Una settimana di torture,
l’avevano quasi annegata, poi strappato le unghie e i denti e
infine rinchiusa insieme ai topi.
Ci erano riusciti, alla fine aveva detto ciò che loro volevano.
Dalle sue labbra sanguinolente era uscita la confessione: –Sì.
Sono una strega-.
Era l’unico modo per fare cessare le torture, anche se
significava morte certa. Quattro giorni la avevano lasciata a
subire il dolore delle ferite e l’attesa della pena capitale.
Ora stava per aprire l’ultimo capitolo del libro della sua vita
davanti a tutta quella folla eccitata.
Il boia e due suoi aiutanti si avvicinarono tenendo alte sulle
loro teste le fiaccole infiammate, quasi fossero bandiere da
mostrare alla gente. Lei ebbe un’espressione di terrore. Le
appoggiarono sulla catasta. Sentì crepitare la legna sotto i
suoi piedi e cercò di sgranare gli occhi il più possibile. Si
fece forza e osservò le fiamme. I rami sotto di lei erano
leggeri e secchi, non ci sarebbe voluto molto. Presto sarebbe
finito tutto.
Pochi minuti dopo il fuoco le lambì i piedi. Si lasciò sfuggire
un’occhiata di odio verso la folla. –Pazienza- pensò – troppo
presto-.
Quando le fiamme cominciarono a consumare la carne delle gambe,
si mise a gridare con quanto fiato aveva in corpo. Era il suo
copione, doveva recitarlo fino in fondo. Altrimenti avrebbero
capito. E continuò a urlare quando il suo petto prese fuoco,
nonostante non sentisse nessun calore. Finalmente i capelli
s’infiammarono e le nascosero il viso dietro le vampate.
Un ghigno sottile le si dipinse sui lineamenti deturpati. Ora
non potevano più vederla e rise in silenzio. Rise di quegli
sprovveduti che credevano di toglierle l’anima con il fuoco.
Rise quando vide quelle larve d’insetto che s’insediavano nel
corpo dei suoi inquisitori e che si sarebbero riprodotte e
nutrite e riprodotte e nutrite.
Loro si che avrebbero sentito dolore,.
Molto dolore.